Tratto da Adrian Raine (2013) “The anatomy of violence: the biological roots of crime”
A cura di Bruno C. Gargiullo, Rosaria Damiani

Oggi quando si parla di menti assassine è possibile affermare, tramite la diagnostica per immagini, che qualcosa nel meccanismo cerebrale degli assassini non funziona come dovrebbe. Infatti, grazie alla tomografia a emissione di positroni, detta PET, si può esaminare l’attività metabolica delle regioni più grandi, come la corteccia prefrontale, ed effettuare delle distinzioni tra soggetti normali e soggetti assassini. In questi ultimi si può notare una mancata attivazione della corteccia prefrontale e un danno a questa regione provoca degli effetti su più piani. A livello emotivo causa la perdita del controllo sulle parti evolutivamente più primitive del cervello, ad esempio il sistema limbico, il quale è il generatore di emozioni come la rabbia. A livello comportamentale,causa una maggior accettazione del rischio, una tendenza all’irresponsabilità e al non rispetto delle regole. A livello di personalità, si possono verificare impulsività, perdita del controllo di sé e incapacità di modificare o inibire certi comportamenti. A livello sociale, può causare immaturità, mancanza di tatto e scarsa opinione sociale, da cui ne potrebbe derivare un comportamento socialmente inappropriato. Infine, a livello cognitivo si può presentare una perdita di flessibilità intellettiva e la mancanza di capacità di problem-solving, predisponendo un individuo alla criminalità o a condurre una vita violenta. Quindi è lecito sospettare che un malfunzionamento della corteccia prefrontale possa predisporre una persona alla violenza ed è infatti proprio questa la caratteristica che viene riscontrata più volte in caso di comportamento antisociale e violento. L’area più suscettibile è la corteccia orbitofrontale la quale, se danneggiata, può causare comportamenti disinibiti e impulsivi, scarsa capacità di prendere delle decisioni e mancanza di controllo emotivo. Utilizzando sempre la PET, ciò che ci permette di distinguere un pluriomicida da un assassino colpevole dell’omicidio di una sola persona è che il pluriomicida non ha una funzionalità frontale ridotta, forse perché per riuscire nella sua impresa la corteccia prefrontale deve funzionare. Per questo sono bravi a pianificare, a misurare le proprie azioni, a prevedere, a considerare piani alternativi, a mantenere la concentrazione e a svolgere un determinato compito.
Inoltre, è importante distinguere gli aggressivi proattivi da quelli reattivi. Gli aggressivi proattivi sono caratterizzati dalla pianificazione attenta delle azioni, dall’essere metodici, razionali, calcolatori e dotati di spiccate capacità di problem-solving; hanno uno scopo preciso e pianificato con anticipo e non ci pensano due volte ad uccidere qualcuno. Quindi si può affermare che hanno risorse prefrontali sufficienti per regolare le loro azioni ed eseguire le loro aggressioni in modo cauto e premeditato; si sentono arrabbiati ma invece di esplodere bramano la vendetta. Gli aggressivi reattivi, invece, sono definiti teste calde, che scattano di fronte agli stimoli provocatori e fanno ribollire la loro rabbia, non hanno risorse prefrontali necessarie ad esprimere la loro tensione emotiva in modo controllato e regolato. Queste differenze sono emerse anche da alcune immagini PET, infatti gli aggressivi reattivi presentano un funzionamento ridotto della subregione ventrale della corteccia prefrontale. Oltre al controllo prefrontale gioca un ruolo molto importante il sistema limbico, sede delle nostre emozioni. Qui, l’amigdala (centralina delle emozioni), in condizioni di forte attivazione emotiva, stimola l’attacco predatorio. L’ippocampo (sede dell’apprendimento), invece, modula e regola l’aggressività, qualora un individuo non abbia vissuto esperienze maladattive. Il talamo, dal canto suo, rappresenta il punto di collegamento e fa da transito tra le aree emozionali limbiche e le aree corticali regolatorie superiori. Il mesencefalo, quando viene attivato, gestisce l’aggressività affettiva ed emozionale.
Procedendo con la neuroanatomia delle menti assassine arriviamo ad un’altra area da prendere in considerazione, ovvero la circonvoluzione angolare, la quale è stata oggetto di alcuni studi di ricercatori svedesi che hanno dimostrato che in questa zona il flusso del sangue nel cervello dei criminali violenti e impulsivi è ridotto. Altre zone che non funzionano come dovrebbero nei soggetti aggressivi sono l’ippocampo e la zona che lo riveste, la circonvoluzione dell’ippocampo. L’ippocampo permette l’elaborazione di informazioni socialmente rilevanti ed è coinvolto nel riconoscimento di obiettivi, pertanto il malfunzionamento di tale area potrebbe essere collegato con il comportamento socialmente inadeguato mostrato da alcuni soggetti violenti, come il mancato riconoscimento o la mancata valutazione di stimoli ambigui in situazioni sociali che possono scatenare scontri violenti. Inoltre, l’ippocampo svolge un ruolo fondamentale nel condizionamento alla paura, gli antisociali e gli psicopatici presentano deficit rispetto alla paura: gli psicopatici, come altri individui violenti, non temono nulla. Un’altra area del cervello che si crede sia disfunzionale è la corteccia cingolata posteriore all’interno del mesencefalo, la quale risulta funzionare male negli adulti criminali psicopatici, nei ragazzi con problemi comportamentali e nei pazienti aggressivi.
Un ulteriore aspetto da considerare quando si parla di menti assassine è la menzogna e a tal proposito è possibile sostenere che gli psicopatici dicono “ bugie a fin di bene” su se stessi e le aree del cervello associate ad esse sono la corteccia prefrontale e la corteccia parietale, le quali risultano essere maggiormente attive quando si mente. Dire la verità, invece, non è associato ad alcun aumento dell’attivazione della corteccia in quanto sembra essere un’azione più semplice. Dunque, ogni gesto antisociale è una funzione complessa che richiede il funzionamento del lobo frontale, dire una bugia ad esempio è molto più difficile rispetto alla verità e per questo richiede l’impiego di molte più risorse e dell’attivazione del cervello.
Oltre alle bugie un altro fattore da prendere in esame riguarda il dilemma morale, secondo cui il cervello mostra una maggiore attivazione di un circuito che passa per la corteccia prefrontale mediale, la circonvoluzione angolare, la corteccia cingolata posteriore e l’amigdala. Infatti, queste zone del cervello contribuiscono all’elaborazione di pensieri complessi e all’abilità di non pensare solo a se stessi ma di valutare l’intero contesto sociale. Ciò che permette di distinguere un cervello antisociale da un cervello morale è l’attivazione della corteccia cingolata posteriore durante un giudizio morale, infatti le prove che questa regione sia implicata anche nel comportamento antisociale sono scarse. Storicamente, gli psicopatici sono sempre stati considerati “moralmente malati”. Da fuori sembrano normali, piacevoli, socievoli e adorabili ma quando si parla di senso morale a loro sembra mancare qualcosa: non riescono a provare empatia emotiva con la sofferenza che causano con le loro azioni. Il sentimento morale, concentrato nell’amigdala e nella corteccia prefrontale, è il motore emotivo che traduce la consapevolezza cognitiva che l’azione che si sta compiendo è immorale e attiva l’inibizione comportamentale; questo freno emotivo dell’immoralità non funziona bene negli psicopatici.

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