Il caso di S.H.

Bruno C. Gargiullo e Rosaria Damiani

Tratto da “Viaggio nella mente criminale”, Lulu Editoria, 2017

Nel 2012, la Corte d’Appello di Leeuwarden (Paesi Bassi) ha affrontato il caso di una giovane donna, S.H., accusata di aver soffocato i suoi quattro figli appena nati, durante il parto o subito dopo, coprendo il naso e la bocca dei piccoli con un cuscino.

In seguito, ha occultato i corpicini delle quattro vittime rinchiudendoli in piccole valige riposte nella soffitta della casa dei suoi genitori. Inizialmente, hanno attribuito le cause di questa condotta criminale al contesto sociofamiliare.

Il giudice di primo grado, infatti, ha condannato la donna a 12 anni di reclusione per neonaticidio adducendo la seguente motivazione: “S.H. ha deciso di uccidere i suoi figli per nascondere le sue gravidanze”.

In Corte di Appello, l’imputata è stata esaminata da uno psichiatra, da uno psicologo e da un neurologo comportamentale. Il collegio giudicante, nelle sue motivazioni, ha riportato parte delle conclusioni a cui sono giunti gli esperti che hanno esaminato il caso da un punto di vista neurobiologico: è stato stabilito che la convenuta è affetta da un disturbo della personalità in comorbilità con un danno organico cerebrale, ovvero un disturbo frontale (Frontal Lobe Syndrome).

Detto disturbo ha limitato, in misura considerevole, il ragionamento e le sue capacità decisionali. Pertanto, i periti hanno ritenuto che la responsabilità della donna, per i reati a lei ascritti, sia grandemente scemata.

Inoltre, al fine di evitare una possibile recidiva è stato ritenuto necessario che l’imputata fosse sottoposta a trattamento obbligatorio con verifiche di follow-up.

La Corte d’Appello, sulla base delle considerazioni peritali, ed in contrasto con il giudice di primo grado, oltre ad averne disposto il ricovero obbligatorio, ha condannato S.H. alla pena detentiva di anni tre per omicidio colposo in danno dei quattro neonati. Il ricovero può essere imposto a quei soggetti le cui condizioni psichiatriche sono tali da far scemare (totalmente o parzialmente) la loro responsabilità penale per il reato a loro ascritto o nei casi in cui vengano ritenute persone socialmente pericolose (Kogel de C.H., Westgeest E.J.M.C., 2015).

Questo caso illustra come i danni alla corteccia frontale, in particolare al prefrontale, possono causare problemi nell’organizzazione e nella pianificazione nonché scarsa capacità decisionale e di autoriflessione. Queste disfunzionalità cognitive e comportamentali, associate ad una “cecità affettiva” (appiattimento emotivo), opportunamente indagate da esperti, possono essere di ausilio al giudice per valutare il grado di responsabilità penale di un imputato (capacità di intendere e di volere) e la pena che ritiene congruo irrogare.

Categories: