Bruno C. Gargiullo

Un uomo quarantenne, scapolo, soffriva di un serio Disturbo Ossessivo Compulsivo (DOC) per il quale si era sottoposto a trattamento psicoanalitico per “circa otto anni senza alcun risultato” (affermazione del paziente).  Da sempre: rigido, perfezionista e ipercontrollato (evitava qualsiasi discussione per timore di aggredire fisicamente una persona e/o di essere aggredito).

Quadro sintomatologico:

  • Rituale di controllo della porta di ingresso per timore di essere aggredito da uno sconosciuto, mentre dormiva.
  • Rituale di controllo manopola del gas per timore che una sua distrazione potesse provocare un danno alla sua abitazione e all’intero condominio.

I due rituali di controllo (maniglia della porta e manopola del gas) dovevano essere ripetuti per cinque volte.

  • Paura ossessiva di perdere la propria ombra proiettata su una tavola di legno. Per impedire alla sua ombra di staccarsi dal corpo e rimanere fissata, ad esempio, su una porta di legno, camminava tenendo le braccia lungo il corpo e strettamente  aderente ai fianchi.

Tale angoscia era motivo di forte tensione sia per la frequenza del “fenomeno”  che per la consapevolezza di quanto fosse assurdo questo timore.

A tal proposito si riportano alcune parti salienti del colloquio, registrato con l’autorizzazione del paziente:

…………

T.:Che cos’è la sua ombra?”

P.: La proiezione del mio corpo illuminato”.

T.: Che cosa rappresenta la sua ombra?”

P.:  “La mia presenza in quel luogo”.

T.:  “Cos’altro le viene in mente ?”

P.:Se non ci fosse la mia ombra vorrebbe dire che non ci sono (pausa), che       non esisto  (poi esclama) sono morto (nuova pausa), ecco perché ho paura della mia ombra sulla tavola di legno e non sul muro. Il legno rappresenta la bara”.

…………

Continuando il colloquio, il terapeuta si alza dalla poltrona ed illumina il proprio corpo con la lampada da tavolo che proietta sulla porta dello studio la sua ombra e rivolgendosi al paziente gli chiede: “Se dovessi uscire dalla stanza e vedesse  la mia ombra rimanere sulla porta, lei cosa penserebbe ?”.

P.: Lasciando la sua ombra in questa stanza, lei verrebbe notato dagli altri come una persona senza ombra…cavolo (esclamò) senza consistenza, cioè non reale, diverso dagli altri (lunga pausa); non ho solo paura della morte ma anche che gli altri si accorgano che sono diverso da loro (pausa), ho paura di perdere la mia ombra perché ho paura di perdere la mia “consistenza”, cioè la mia razionalità…ho paura di perdere la ragione, di impazzire e che gli altri se ne accorgano”.

P.: “Come è possibile che sono arrivato a sviluppare la paura di perdere la mia ombra quando poi in effetti ho paura di morire o  di impazzire ?”

T.:La paura di perdere la sua ombra, riflessa su una tavola di legno, non è altro che la concretizzazione della paura appunto di morire o di impazzire, cioè di perdere il controllo della sua ragione, paure molto più ansiogene e non controllabili poiché non sono né oggetti né situazioni che si possono evitare in quanto sono nella sua testa. Lei queste paure se le porta sempre con sé. Mentre la paura di perdere la sua ombra, per quanto possa sembrare più illogica, è certamente più controllabile perché lei comunque può far qualcosa affinchè ciò non accada come, ad esempio, evitare di passare vicino ad una porta di legno o, qualora ciò non fosse evitabile, prendere delle precauzioni (tenere le braccia serrate al  corpo).

……….

La paura specifica (perdere la propria ombra) “svanì” nel giro di un mese ma non la paura di perdere il controllo (tirar fuori tutta la sua collera) e di essere punito (malattie e morte).

Questo risultato, comunque, comportò una significativa riduzione della paura di impazzire, maggiore fiducia in un buon esito della terapia e, di conseguenza, un maggior impegno nella terapia stessa da parte del paziente.

L’intervento terapeutico proseguì affrontando il rituale di controllo della maniglia della porta e della manopola del gas. Va precisato che il paziente aveva ben compreso la funzione dei rituali: controllo, evitamento e neutralizzazione dell’ansia.

Chiaramente l’obiettivo principale (target) era costituito dal liberare la persona dalla paura della sua aggressività, dai sensi di colpa per questa sua aggressività e dalla paura delle reazioni da parte degli altri (paura di essere punito).

  • Rituale della porta e del gas (saturazione):  il ripetere l’operazione di controllo, senza interruzione e nonostante gli elementi di disturbo (suolo del clacson, squillo del telefono o altre interferenze), mirava a far si che il soggetto sviluppasse l’inibizione reattiva (o soppressione di un comportamento). Infatti, quest’ultima, quale conseguenza del rinforzo parziale e dell’elevato numero di prestazioni, si accumula più rapidamente e intensamente negli estroversi che non negli introversi (il paziente era decisamente un estroverso). Ogni attività faticosa genera uno stato di pulsione negativa noto come inibizione reattiva (Eysenck – Rachman, 1980).

Come intervento risolutivo si utilizzò il Training Assertivo, ovvero sollecitare il paziente a esprimere, sempre e comunque, con calma e determinazione pensieri, emozioni, contrarietà, senza scadere in una inutile quanto dannosa aggressività.

Conclusioni

La durata complessiva del trattamento fu di due anni e comprese: otto ore di indagine, dodici mesi di intervento terapeutico e cinque mesi di follow-up con sedute quindicennali e altrettanti cinque mesi di follow-up con sedute mensili. Successivamente, per altri tre anni, contatti telefonici per la verifica a distanza.

Attenzione

Prima di intervenire su una sintomatologia ossessivo-compulsiva, accertarsi che nel soggetto non vi sia un nucleo psicotico imbrigliato dai rituali DOC.

Bibliografia

L’immagine del cervello di un DOC è tratto da “International OCD Foundation” (https://iocdf.org/about-ocd/what-causes-ocd/)

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