Tratto da Gargiullo B.C. e Damiani R. “Viaggio nella mente criminale”, Lulu Editore, 2017

E’ il 26 luglio del 2010. Su BrainFactor viene pubblicato un caso che vede protagonista il professor James H. Fallon, neuroscienziato americano, docente di psichiatria e del comportamento umano presso l’Università di Medicina Irvine School della California. Da anni Fallon tenta di comprendere le radici del male, ovvero di rintracciare cause, ragioni e motivazioni neuroscientifiche alla base del comportamento criminale.
Con le sue ricerche ha posto in evidenza l’esistenza di una scarsa funzionalità in un’area dei lobi frontali e temporali che spiegherebbe sia l’assenza di moralità che la difficoltà a contenere gli impulsi.
I vari studi condotti dal neuroscienziato statunitense sulle scansioni del cervello di decine di assassini psicopatici lo condussero a queste conclusioni: rispetto a un cervello sano, i cervelli degli assassini presentavano una ridotta attività nella corteccia orbitofrontale e in tutta l’amigdala – aree che impediscono l’azione impulsiva e controllano il comportamento sociale, l’inibizione, la morale e l’etica. Ed è proprio la mancanza di autocontrollo a far diventare gli psicopatici, questi freddi ed abili calcolatori, dei folli assassini. “Queste sono alcune delle persone più pericolose che si possa immaginare”, afferma lo scienziato. “Avevano commesso atrocità nel corso degli anni, che farebbero rabbrividire chiunque”.

Tuttavia, la strada della sua ricerca lo ha condotto ad una sorpresa: anche i suo cervello, compiutamente scannerizzato, è risultato essere simile a quello di un serial killer. Il cervello di Fallon presenta tutte le tipiche caratteristiche di uno psicopatico omicida.

Questa scoperta incredibile avvenne nel mese di ottobre del 2005, mentre lo scienziato stava esaminando i test genetici e le scansioni cerebrali dei malati di Alzheimer, confrontandoli con un gruppo di controllo costituito da partecipanti sani, fra i quali c’era anche il suo e quello dei suoi familiari (moglie, figlio, fratello e due sorelle). L’incredulità del ricercatore fu quella di aver notato che tra le brain imagin del gruppo di controllo ve ne era una “fuori posto”, ovvero quella di un soggetto psicopatico. Come avviene da prassi, quando si svolge uno studio, nessun nome era stato riportato sulle scansioni. Per risalire all’identità c’era un codice.
Dopo aver attentamente esaminato le varie scansioni cerebrali dei soggetti psicopatici, che appartenevano ad un’altra ricerca, scoprì che quella incriminata era proprio la sua. Il suo cervello presentava macchie scure di bassa attività nell’area appena dietro gli occhi, in quella zona cruciale della corteccia orbitofrontale. “Le persone con bassa attività in quella zona del cervello sono sociopatici o criminali a ruota libera”.

Lo scienziato, di 66 anni, felicemente sposato e padre di tre figli, che conduceva un’esistenza esemplare, con una carriera di grande successo nel suo campo, dovette accettare l’evidenza.“Io sarei fondamentalmente una persona normale, tranne che per una cosa. Sono uno psicopatico prosociale”. Ma questa è solo una parte della verità, poichè esaminando il DNA della sua famiglia di origine Fallon scopre che dal punto di vista genetico solo lui è portatore del cosiddetto “gene guerriero”, ovvero il gene MAOA (Monoaminossidasi-A), che è coinvolto, tra l’altro, nel metabolismo cerebrale della serotonina. Si precisa che il MAOA è deputato alla sintesi di numerosi neurotrasmettitori, implicati nel controllo degli impulsi, nell’attenzione ed in altre funzioni cognitive, includendo la dopamina, la norepinefrina e la serotonina. Le mutazioni del gene, che codifica la sintesi dell’enzima MAOA, possono determinare una produzione deficitaria che influenza negativamente la normale funzionalità dei neurotrasmettitori, producendo una serie di anomalie comportamentali (es., deficit dell’attenzione/iperattività, alcolismo, abuso di sostanze, impulsività ed altre condotte a rischio).

Indovinate un po’! Ogni membro della sua famiglia aveva una struttura genetica a “bassa violenza”, tranne uno: il professor Fallon, se stesso. “Sono sicuro al 100 per cento – afferma – ho un modello genetico ad alto rischio. In un certo senso, sono un assassino nato”.

Ma le scoperte non finiscono qui: sette dei suoi antenati avrebbero commesso degli omicidi.

Un giorno, mentre stavano preparando una grigliata, la madre ottantottenne si lasciò sfuggire un oscuro segreto di famiglia. “Jim, perché non vai ad indagare fra i parenti di tuo padre? Ci sono stati alcuni cuculi nel passato, cuculi abbastanza violenti, anzi troppo violenti”.

La strategia mafiosa del cuculo: punisce chi non accetta le sue regole

«Se esistessero leggi umane anche tra gli animali, il cuculo potrebbe essere accusato di estorsione. Una specie particolare di questo uccello infatti, la “clamator glandarius” (cuculo dal ciuffo), viene definita da alcuni biologi evolutivi “mafiosa” perché si comporta con gli altri volatili proprio come gli affiliati delle associazioni criminali che intimidiscono e usano la violenza per ottenere obiettivi illeciti.

La teoria dell’estorsione e il condizionamento operato dal cuculo nei confronti di altri pennuti sono confermati da un modello matematico evolutivo realizzato dai ricercatori del Max Planck Institute for Evolutionary Biology di Plön, in Germania. Questa specie di cuculo appartiene a un insieme di pennuti che gli studiosi chiamano “parassiti”, uccelli che non provvedono a nutrire i propri piccoli e non costruiscono il loro nido. Preferiscono deporre le loro uova di nascosto in quello di altri volatili come la gazza ladra o la protonotaria citrina, un passeriforme dalle piume gialle e grigie. Se questi ultimi (ospiti) riconoscono l’uovo estraneo e lo gettano fuori, possono subire terribili conseguenze da chi, oltre ad essere un parassita, è pure un ‘mafioso’: il cuculo dal ciuffo ed altre specie, come il vaccaro testabruna, possono infatti tornare a controllare dove hanno lasciato le uova e se non le ritrovano si vendicano devastando con il loro becco il nido dell’ospite e la sua intera covata» (http://www.repubblica.it/scienze/2014/04/24/news/strategia_cuculo_mafioso-84338102/#gallery-slider=84339045).

Tra i sette presunti assassini, vi è Lizzie Borden, o “cugina Lizzie”, che nel 1892 (Massachusetts), venne processata e assolta dall’accusa di aver ucciso il padre e la matrigna con circa quaranta bastonate.

Il Professor Fallon, però, nonostante una predisposizione genetica e neurale di tipo psicopatico, non ha mai fatto male a una mosca.

Questa sua inclinazione, mai agita, ha modificato le sue convinzioni riguardanti il rapporto esistente tra cervello e personalità. Prima di questa sorprendente verità, egli considerava determinante il ruolo della genetica nell’influire sul comportamento e sulla personalità dell’individuo.

Ora, dopo questa scoperta, ritiene che un’amorevole accudimento parentale possa ovviare ad una predisposizione genetica e neurale  che orienterebbe un individuo ad un agire malvagio. Secondo lo scienziato, l’amore dei suoi genitori (definito da Adrian Raine fattore protettivo), a quanto pare, lo avrebbe salvato da una vita criminale e lo avrebbe guidato verso una carriera di grande successo.

A proposito dei fattori protettivi, Raine (2013) rappresenta se stesso quale possibile candidato ad un comportamento antisociale (bassa frequenza cardiaca a riposo, malnutrizione nell’infanzia, tratti antisociali adolescenziali, scansione cerebrale simile ad un serial killer) se non vi fossero stati dei fattori protettivi come, ad esempio, una famiglia amorevole, accudente e stabile.   Fallon conclude: “Non siamo semplicemente il prodotto della biologia. La scienza ci può dire solo una parte della nostra storia. I nostri geni, quindi, non determinano il nostro destino, e non hanno il potere di orientarci in una certa direzione. E’ consolante che il male può essere sconfitto da una più grande influenza – l’amore di un genitore”[1].


[1] http://www.dailymail.co.uk/news/article-2514670/Scientist-James-Fallon-hes-brain-psychopath-related-Lizzie-Borden.html.

Inoltre, aggiunge Raine (2013):

«Non possiamo utilizzare il  brainimaging come se fosse uno strumento altamente tecnologico in grado di capire chi è un serial killer, chi ammazzerà una persona e basta, ecc. Allo stesso tempo, però, stiamo cominciando a raccogliere importanti indizi sulle regioni del cervello che, in caso di malfunzionamento, possono causare violenza».

Categories: